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AgrIsrael 4.0 - parte due

Giorno 3 - Meeting e spritualità


Il giorno degli appuntamenti con le aziende è arrivato. Stamattina niente imprevisti, pare.

Saliamo sul solito bus-frigorifero, arriviamo alla location, o almeno così pare. L'edificio non è proprio il massimo, l'ascensore non funziona e i 4 piani di scale non promettono tanto bene. Eppure la sala è davvero carina, un po' shabby chic ma adatta allo scopo. Ci sono circa 50 tavoli, di varie dimensioni e stile, che ospitano ogni 20 minuti un meeting pre-schedulato ancor prima di partire sulla base di interessi comuni e potenziale di cooperazione.


I miei incontri non inizieranno subito, mi ero lasciata un paio di slot liberi per poter visitare un farmers' market nel porto, ma senza bus non potevo arrivare qui facilmente, quindi ho posticipato la cosa. Inizio a girare tra i tavoli, è tutto uno scambio di business card e di idee, di esperienze e di differenze culturali e colturali, è bello. Stimolante conoscere queste realtà, affascinante sapere quanta tecnologia riescono ad applicare ad un settore così semplice solo all'apparenza. La mia riflessione però, sempre la stessa: ottimizziamo la produzione, che mi sta pure bene, ma al mercato ci pensa?

Quattro ore volano, tra un incontro e l'altro e dopo un pranzo niente male veniamo invitati a scendere, prendere i bus e proseguire per l'unica escursione prevista dal programma: Gerusalemme.

Ciò che mi preme dirvi è che ho perso il conto delle opinioni che ho avuto da chi c'era già stato prima, tutti a dirmi che sarei rimasta colpita, che ne avremmo parlato al ritorno, che le mie sensazioni sarebbero state tante, contrastanti, forti.


Gerusalemme è Gerusalemme. Non ci sarà mai al mondo un posto simile, che possa rievocarla, che possa ispirare una riflessione del tipo "mi ricorda Gerusalemme!" Mai. Gerusalemme non è solo storia, non è solo religione, Gerusalemme tocca le corde che tu decidi di lasciare scoperte, se abbassi le difese pur dovendo passare sotto a un metal detector per arrivare al muro del pianto. Ho scritto i miei desideri su una pagina vuota della Moleskine già sul bus, li ho affidati al muro, ho accarezzato quella parete che sta in piedi da così tanto, che ha visto milioni di mani, forse miliardi di lacrime. Tutto è convivenza a Gerusalemme, convivenza tra religioni, tra uomini e donne, tra civili e militari, tra bambini e anziani. Tutto è silenzioso nei vicoli, ma non è un silenzio naturale, è un silenzio denso come l'hummus di ceci. Sembra quasi che tutti abbiano paura di parlare più ad alta voce per non far scattare un allarme, o per non mancare di rispetto alla storia, o entrambe le cose insieme.


Quello che dicono di Gerusalemme è vero, quello che non dicono è che tutto si ferma nel tuo cuore e nella tua anima mentre sei lì. Per rispetto, per paura e per attenzione, il tempo non passa, sei tu che passi nel tempo.

Il rientro in hotel, al buio, passando col bus per la Cisgiordania, lo riserviamo a quando avrò superato l'ansia di averlo fatto.


Giorno 4 - Site visits e turisticità


L'ultimo giorno è il più movimentato. Nel senso che ci saranno un bel po' di spostamenti. Visitiamo varie aziende per vedere dal vivo cosa fanno e come lo fanno. Quello che non ti hanno spiegato nel programma è che le aziende sono tutte all'interno dei Kibbutz, per chi non sapesse cos'è un Kibbutz da un punto di vista nozionistico, c'è Wikipedia. Ammetto che vedere asili e parchi giochi accanto a impianti produttivi di aziende di AgriTech è abbastanza curioso, ma affascinante. Tra una dimostrazione di irrigazione per condensazione e una passeggiata tra microgreen e idroponica siamo approdati nell'azienda che ha inventato l'irrigazione a goccia: un colosso mondiale, la Netafim (per chi fosse del settore). Pranzare nella mensa del Kibbutz è però un po' come pranzare in autogrill senza la rustichella, magari la prossima volta mi porto un panino col tonno di Conci.


Dopo pranzo è la volta del biologico, dell'acquacultura e delle capre che (siccome tra simili ci vogliamo bene e il sale del sudore sulla pelle piace proprio a tutti) hanno dato un senso al sacchetto di salviettine imbevute dell'Israel Export Institute, mai gadget fu più appropriato.

Il rientro inaspettatamente in orario decente mi ha concesso la tanto agognata visita al farmers' market, un bagno frugale su una spiaggia troppo alla moda per fare al caso mio e pure una cena al bancone di un ristorantino carino ma pieno, che quando ceni da sola fa molto film americano con donna triste e abbandonata che finisce sempre nello stesso modo ma nel mio caso (per fortuna) è finito che sono tornata a fare la valigia.


Per inciso, i controlli di rientro all'aeroporto di Tel Aviv sono un incubo, vi faranno dubitare pure di essere stati bravi quando avete chiesto la casa delle Barbie a Babbo Natale nel 1994 "me la sarò meritata davvero?". Sono tornata cambiata, viaggiare da sola per quanto circondata di gente, cultura e tecnologia, è sempre per me momento di grande riflessione e introspezione, ma di questo ça va sans dire, ne parliamo la prossima volta.



Da Tel Aviv è tutto, a voi la linea, che io preferisco mangiare.


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